Viene spesso utilizzata in sostituzione al burro perchè costa meno, presenta caratteristiche tecnologiche molto simili oppure perchè si desidera un alternativa allo stesso (per chi è ad esempio è vegano oppure intollerante ai latticini), è inoltre indicata alle persone che desiderano arginare il problema colesterolo, in quanto i grassi vegetali ne sono privi.
Questo alimento non è però scandente in modo assoluto (come molti pensano), purchè venga scelto alla luce di determinati parametri di giudizio (che vedremo) e che venga utilizzata con parsimonia.
La composizione media
La margarina è costituita solitamente da una miscela di grassi insaturi, saturi (80-84% complessivamente)*, acqua (16-20% circa) ed emulsionanti.
I grassi possono derivare da una sola tipologia di seme (margarine monoseme), oppure da semi diversi (margarine poliseme) con destinazioni differenti: le monoseme vanno prevalentemente ad uso casalingo, le poliseme invece prevalentemente ad uso professionale (pur essendoci benissimo margarine con destinazione d’uso inversa).

Il punto di vista nutrizionale
Le margarine con un ridotto contenuto di grassi saturi, non idrogenate e biologiche, hanno un profilo nutrizionale non eccelso ma comunque assolutamente migliore di quello delle margarine costituite esclusivamente da grassi saturi o peggio ancora idrogenate (vedremo in seguito cosa vuol dire).
La margarina di qualità si riconosce dal fatto che non contiene grassi idrogenati, ha prevalenza di olio insaturo (oliva, girasole, arachidi…), una ridotta quantità di grassi tropicali (palma, cocco…) e non contiene olio di colza o additivi di varia natura come coloranti, aromi e così via.
Tra gli emulsionanti più diffusi c’è la lecitina di soia (indicativamente allo 0,5%) la quale ha la funzione di legare le due fasi (acqua e grasso) ed evitare che lo “schizzo” in frittura (antispattering): l’eventuale assenza di lecitina provocherebbe l’unione delle goccioline d’acqua e lo schizzo dell’olio.
Per assicurarsi che il contenuto di grassi tropicali sia minore rispetto al quantitativo totale di grassi è sufficiente verificare la disposizione degli ingredienti sull’etichetta: se ai primi posti c’è un olio vegetale come girasole, oliva o altri (eccetto colza) e, solo a seguire, quelli tropicali, stiamo empiricamente scegliendo bene (nel caso ci siano però due grassi tropicali differenti è la somma degli stessi a determinare il quantitativo di grassi saturi complessivo ma, purtroppo, in questo casi è difficile sapere quale sia la concentrazione esatta).
I grassi idrogenati
Al polo opposto dei grassi nobili insaturi troviamo, oltre a quelli saturi, quelli idrogenati, ovvero quei grassi insaturi sottoposti ad alta temperatura e insufflati di idrogeno, in presenza di un catalizzatore (di solito nichel, ma è possibile usare anche platino, palladio, rodio…) e resi solidi. L’idrogenazione è un processo industriale che trasforma gli acidi grassi insaturi in trans (una tipologia di grassi praticamente inesistente in natura se non in quantità ridottissima nel grasso del latte dei ruminanti), che inficiano negativamente sull’ apparato cardiovascolare, aumentando il rischio di infarti e ictus. Inoltre, la presenza di acidi grassi trans, diminuisce il colesterolo “buono” HDL e aumenta quello “cattivo” LDL. I grassi idrogenati si possono trovare anche sottoforma di shortenings, ovvero grassi solidi idrogenati anidri (privi di acqua se non al 2%)
Per appurare il livello di nocività legato ai grassi idrogenati basta sapere che, ad esempio, gli allevatori di suini non usano grassi idrogenati perché sono dannosi per l’animale, nonostante siano i meno costosi tra i grassi disponibili.
Negli Stati Uniti invece, dal primo gennaio 2006, alla luce della nocività di questi grassi, è stato reso obbligatorio indicare sulle etichette nutrizionali la presenza di grassi trans. In modo tale da disincentivare il consumo di alimenti con quel tipo di grassi (in questo modo il governo conta di risparmiare 1,8 miliardi di dollari in costi medici e perdita di produttività).
Anche i Svizzera di recente è stata approvata una legge (2008) per limitare i prodotti contenenti grassi idrogenati, cosa che in Danimarca invece è già attiva dal 2003.
Fortunatamente però, oggi giorno le margarine con grassi idrogenati sono sempre meno, mentre nei prodotti biologici non sono mai state utilizzate (e non lo sono tutt’ora) perchè il disciplinare non lo consente (fortunatamente).
Altri metodi di preparazione della margarina
Tra la semplice preparazione di un emulsione di acqua / grassi e l’idrogenazione esistono ancora altre vie per produrre la margarina: una è il frazionamento e l’altra e l’interesterificazione.
Il frazionamento
Questo metodo consiste nella separazione fisica delle varie “componenti grasse” dell’olio, le cosiddette frazioni, caratterizzate da una differente “compattezza” (dovuta alla lunghezza della catena degli acidi grassi, al tipo di legame e alla posizione dello stesso nella catena).
Tanto per citarne una: l’olio di palma raffinato si può dividere nelle sue varie componenti, costituite principalmente da acidi grassi saturi (stearina), solidi a temperatura ambiente (punto di fusione attorno ai 45-50 °C), e una frazione, costituita per la maggior parte da acidi grassi monoinsaturi, liquida con un punto di fusione attorno ai 10 °C.
Una volta frazionati i grassi, si aggiunge l’acqua (sterile) e gli emulsionanti.
Interesterificazione
Con questo processo invece, si riposizionare gli acidi grassi sulla glicerina, senza modificarne la natura, ottenendo così grassi con caratteristiche chimico-fisiche desiderate. In genere si utilizza come “materia prima” l’olio di soia (vista la sua fluidità) e un grasso saturo (di solito quello di palma).

Come distinguere la margarina
Le margherine sono diverse i funzione dell’utilizzo finale e si distinguono in margherine per.
- Sfoglie. Garantiscono un’elevata capacità di stiratura, una stratificazione omogenea ed evitano la rottura dello strato di grasso, rispetto a quello di pasta.
- Pasticceria fine. Sono stabili a lungo, hanno un’elevata capacità emulsione e inglobano molta aria.
- Pasta frolla e pasta brisè. Sono spesso addizionate di caseina al fine di acquisire una consistenza al palato simile al burro.
- Per Creme. Assorbono e stabilizzano una quantità molto elevata di bollicine d’aria.
Le ditte solitamente fanno una distinzione in base al colore della confezione, ad esempio:
- Rosso. Per paste sfogliate normali e lievitate. Lavorazioni in ambiente caldo.
- Blu. Per paste sfogliate normali e lievitate. Lavorazioni con sfogliatrice.
- Marrone. Per paste sfogliate normali e lievitate. Lavorazioni in ambiente freddo.
- Verde. Pasta frolla e brisée.
- Giallo. Crema al burro, guarnizioni.
Ogni margarina ha poi caratteristiche tecnologiche sue che si identificano in questo modo:
- S.f.i. (solid fat index). Consistenza della margarina determinata dalla quantità di grassi solidi. Si misura con tre procedimenti diversi: dilatometria (misura delle dilatazioni), calorimetria (misura del calore dei corpi), risonanza magnetica nucleare (capacità di assorbire energia da parte dell’atomo).
- Potere fondente. Intervallo di tempo in cui vi è la fusione totale del grassi presenti, più l’intervallo è breve più la margarina dona una piacevole sensazione di freschezza in bocca.
- Plasticità. Cioè la resistenza meccanica alle sollecitazioni a cui viene sottoposta la margarina, che tuttavia dipendono dalla temperatura di lavorazione.
- Creaming. La capacità di inglobare aria quando viene sbattuta con zucchero. Si valuta con il test di creaming che misura, a temperature ben definite, il volume di gas trattenuti e la densità della miscela margarina / zucchero.
La margarina, per legge, deve avere un acidità libera massima del 1%, un umidità superiore al 2%, dev’essere priva di grassi del latte, grassi del suino o contaminata con catalizzatori (nichel o altri).
Margarina sì o margarina no ?
Probabilmente una volta lette tutte queste informazioni non è più chiaro se la margarina alla fine va utilizzata o no, vediamo quindi di fare un po’ di luce.
La margarina è senz’altro un grasso da utilizzare con molta parsimonia, lasciando il posto a grassi di maggior pregio come l’olio di oliva oppure, ancor meglio, dove ovviamente è possibile, i semi e i frutti tal quali da cui deriva il grasso.
Tuttavia la margarina è indispensabile quando dobbiamo fare la pasta sfoglia (con l’olio non è impossibile ma è molto difficile), quando dobbiamo preparare il pandoro (in particolar modo se è sfogliato), il panettone e la colomba (con l’olio non si ottiene la stessa morbidezza e poi lo stesso si consuma così raramente che non vale la pena ossessionarsi sulla presenza o meno della margarina).
Per tutti gli altri casi l’olio va più che bene: la frolla si ottiene benissimo con l’olio (anche se richiede un briciolo di lievito per ottenere una friabilità analoga), stessa cosa per la pasta choux e la besciamella.
L’unica differenza che si ha utilizzando olio al posto della margarina è il fatto che l’olio è anidro e non contiene acqua (di conseguenza è talvolta necessario aumentare la quantità di liquidi nella ricetta), i prodotti sono più unti (perchè i grassi saturi finchè non raggiungono la temperatura di 35-37°C sono solidi), si conservano meno (ma chi produce in casa non ha questo tipo di problema) e lievitano meno (perchè la margarina genera anche una lievitazione per evaporazione dell’acqua contenuta).
Infine, anche se il frazionamento e l’interesterificazione non sono così invasivi come l’idrogenazione, rimangono tuttavia processi di produzione che creano una miscela di acidi grassi un pò al limite della definzione di “naturale”.
*Esistono anche tipologie di margarina più magre con solo il 60-62% di grassi (margarina leggera) oppure con il 40-42% (margarina a basso tenore di grassi).
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