Secondo alcuni studi la felicità ha un forte legame genetico, basta infatti confrontare la condotta di due gemelli monozigotici (con uguale patrimonio genetico) e, indipendentemente dal luogo in cui vivono, non presentano differenze comportamentali significative.
Alla luce di ciò Ruut Veenhoven, professore di sociologia all’università Erasmus di Rotterdam- Olanda, nel 1993 a recensito e confrontato 2475 pubblicazioni scientifiche sulla felicità.I risultati arrivarono a 3 conclusioni principali. In primo luogo che esiste una predisposizione genetica, circa il 50% (sia che si tratti di felicità che infelicità). In secondo luogo che le condizioni esterne e i fattori generali come status sociale, educazione, svaghi, ricchezza, sesso, età, etnia, hanno un importanza contingente che determina una variabile tra il 10 e il 15 per cento nella soddisfazione della propria vita. Ed infine, molto importante, che è possibile influenzare radicalmente l’esperienza della felicità e della sofferenza attraverso il modo di essere e di pensare, non ché lavorando sul “come percepire e gestire” gli eventi dell’esistenza.
Menomale, perché fosse invariabile, studiare il fenomeno e tentare di essere più felici sarebbe totalmente inutile.
Menomale, perché fosse invariabile, studiare il fenomeno e tentare di essere più felici sarebbe totalmente inutile.
In ogni caso la genetica nonostante sia insita in noi, non sempre viene espressa: uno studio fatto sui topi predisposti all’ansia, affidati dalla loro prima settimana di vita a madri premurose, non esprimono questa potenzialità per tutta la vita.
Fonte immagine. gemellopoli.it/imgemelli/gemellibertelli.jpg
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